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venerdì 6 aprile 2012

ll Sabato Santo di Maria

Nel Venerdì santo, dopo la morte di Gesù, il discepolo Giovanni “prese Maria con sé” (Gv 19,27), nel suo cuore e nella sua casa. Non è facile immaginare ciò che questo vuol dire: si tratta di una casa in Gerusalemme? O di un semplice luogo di appoggio per i pellegrini della Galilea a Gerusalemme in occasione della Pasqua?
Cerco di introdurmi in questa casa dove la Madre di Gesù vive il suo “Sabato Santo” e di iniziare, col permesso di Giovanni, un dialogo con lei. Un dialogo fatto anzitutto di contemplazione del suo modo di vivere questo momento drammatico.
Contemplo Maria: è rimasta in silenzio ai piedi della croce nell’immenso dolore della morte del Figlio e resta nel silenzio dell’attesa senza perdere la fede nel Dio della vita, mentre il corpo del Crocifisso giace nel sepolcro. In questo tempo che sta tra l’oscurità più fitta – “si fece buio su tutta la terra” (Mc 15,33) – e l’aurora del giorno di Pasqua – “di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato… al levar del sole” (Mc 16,2) – Maria rivive le grandi coordinate della sua vita, coordinate che risplendono sin dalla scena dell’Annunciazione e caratterizzano il suo pellegrinaggio nella fede. Proprio così ella parla al nostro cuore, a noi, pellegrini nel “Sabato santo” della storia.

1. Tu nel sabato del silenzio di Dio sei e rimani la “Virgo fidelis” e ci ottieni la “consolazione della mente”.
Che cosa ci dici, o Madre del Signore, dall’abisso della tua sofferenza? Che cosa suggerisci ai discepoli smarriti?
Mi pare che tu ci sussurri una parola, simile a quella detta un giorno dal tuo Figlio: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa…!” (Mt 17,20).
Che cosa vuoi comunicarci? Tu vorresti che noi, partecipi del tuo dolore, partecipassimo anche della tua consolazione. Tu sai, infatti, che Dio “ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2 Cor 1,4).
E’ la consolazione che viene dalla fede. Tu, o Maria, nel Sabato santo sei e rimani la “Virgo fidelis”, la Vergine credente, tu porti a compimento la spiritualità di Israele, nutrita di ascolto e di fiducia.
( ) Noi non sappiamo, o Maria, da quale tipo di consolazione profonda sei stata sostenuta nel tuo Sabato santo. Siamo certi però che Colui che ti ha gratificata di tali doni in momenti decisivi della tua esistenza ti ha sostenuto anche in quel giorno, in continuità con tutte le grazie precedenti. La forza dello Spirito, presente in te fin dall’inizio, ti ha sorretto nel momento del buio e dell’apparente sconfitta del tuo Gesù. Tu hai ricevuto il dono di poterti fidare fino in fondo del disegno di Dio e ne hai riconosciuto nel tuo intimo la potenza e la gloria. Tu ci insegni così a credere anche nelle notti della fede, a celebrare la gloria dell’Altissimo nell’esperienza dell’abbandono, a proclamare il primato di Dio e ad amarlo nei suoi silenzi e nelle apparenti sconfitte. Intercedi per noi, o madre, perché non ci manchi mai quella consolazione della mente che sostiene la nostra fede e fa sì che da un granello di senapa spunti un albero capace di offrire rifugio agli uccelli del cielo (cf Mt 13,31-32).

2. Tu nel sabato della delusione sei la Madre della speranza e ci ottieni la “consolazione del cuore”.
Che cosa ci dici ancora, o Maria, dal silenzio che ti avvolge? Ti sento ripetere, come un sospiro, la parola del tuo Figlio: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19). ( )
Tu, o Maria, hai imparato ad attendere e a sperare. Hai atteso con fiducia la nascita del tuo Figlio proclamata dall’angelo, hai perseverato nel credere alla parola di Gabriele anche nei tempi lunghi in cui non capitava niente, hai sperato contro ogni speranza sotto alla croce e fino al sepolcro, hai vissuto il Sabato santo infondendo speranza ai discepoli smarriti e delusi. Tu ottieni per loro e per noi la consolazione della speranza, quella che si potrebbe chiamare “consolazione del cuore”.
( ) Noi ti preghiamo, o madre della speranza e della pazienza: chiedi al tuo Figlio che abbia misericordia di noi e ci venga a cercare sulla strada delle nostre fughe e impazienze, come ha fatto con i discepoli di Emmaus.
Chiedi che ancora una volta la sua parola riscaldi il nostro cuore (cf Lc 24, 32). Intercedi per noi affinché viviamo nel tempo con la speranza dell’eternità, con la certezza che il disegno di Dio sul mondo si compirà a suo tempo e noi potremo contemplare con gioia la gloria del Risorto, gloria che già è presente, pur se in maniera velata, nel mistero della storia.

3. Tu, nel sabato dell’assenza e della solitudine, sei e rimani la madre dell’amore e ci ottieni la “consolazione della vita”.
A questo punto, o Maria, azzardo un’ultima domanda: ma che senso ha tanto tuo soffrire? Come puoi rimanere salda mentre gli amici del tuo Figlio fuggono, si disperdono, si nascondono? Come fai a dare significato alla tragedia che stai vivendo? Mi pare che tu risponda di nuovo con le parole del tuo Figlio: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
Il senso del tuo soffrire, o Maria, è dunque la generazione di un popolo di credenti. Tu nel Sabato santo ci stai davanti come madre amorosa che genera i suoi figli a partire dalla croce, intuendo che né il tuo sacrificio né quello del Figlio sono vani. Se lui ci ha amato e ha dato sé stesso per noi (cf Gal 2,20), se il Padre non lo ha risparmiato, ma lo ha consegnato per tutti noi (cf Rom 8,32), tu hai unito il tuo cuore materno all’infinita carità di Dio con la certezza della sua fecondità. Ne è nato un popolo, “una moltitudine immensa… di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9); il discepolo prediletto che ti è stato affidato ai piedi della croce (“Donna, ecco il tuo figlio”, Gv 19,26) è il simbolo di questa moltitudine.
La consolazione con la quale Dio ti ha sostenuto nel Sabato santo, nell’assenza di Gesù e nella dispersione dei suoi discepoli, è una forza interiore di cui non è necessario essere coscienti, ma la cui presenza ed efficacia si misura dai frutti, dalla fecondità spirituale. E noi, qui e ora, o Maria, siamo i figli della tua sofferenza. ( )
Tu conosci, o Maria, probabilmente per esperienza personale, come il buio del Sabato santo possa talora penetrare fino in fondo all’anima pur nella completa dedizione della volontà al disegno di Dio. Tu ci ottieni sempre, o Maria, questa consolazione che sostiene lo spirito senza che ne abbiamo coscienza, e ci darai, a suo tempo, di vedere i frutti del nostro “tener duro”, intercedendo per la nostra fecondità spirituale.
Non ci si pente mai di aver continuato a voler bene! Ci accorgeremo allora di aver vissuto un’esperienza simile a quella di Paolo che scriveva ai Corinti: “In noi opera la morte, ma in voi la vita” (2 Cor 4,12).
Tu, o Maria, sei madre del dolore, tu sei colei che non cessa di amare Dio nonostante la sua apparente assenza, e in Lui non si stanca di amare i suoi figli, custodendoli nel silenzio dell’attesa. Nel tuo Sabato santo, o Maria, sei l’icona della Chiesa dell’amore, sostenuta dalla fede più forte della morte e viva nella carità che supera ogni abbandono. O Maria, ottienici quella consolazione profonda che ci permette di amare anche nella notte della fede e della speranza e quando ci sembra di non vedere neppure più il volto del fratello!
Donaci quell’intima consolazione della vita che accetta di pagare volentieri, in unione col cuore di Cristo, questo prezzo della salvezza. Fa’ che il nostro piccolo seme accetti di morire per portare molto frutto!

Carlo Maria Martini , estratto dalla lettera pastorale 2000/2001 “La Madonna del Sabato Santo”

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